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Una storia scoperta per caso: Salonicco ’43

26 novembre 2008

Il tappeto al centro del palcoscenico segna il perimetro dello spazio, in cui prendono vita le storie dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti: ha un colore sbiadito, come gli abiti di scena, ulteriormente scoloriti dall’uso di luci fredde. 

È la storia di una città, Salonicco, diventata scenario della ferocia nazista nel 1943. Cinta dal filo spinato e privata dei suoi abitanti, gli ebrei sefarditi.

Nello spettacolo, diretto da Ferdinando Ceriani, la voce di Carla Ferraro riporta la testimonianza di coloro che sono scampati alla deportazione e dà un volto alle loro paure e alle loro speranze. 

Seduto dietro la sua scrivania, il Console Generale d’Italia Guelfo Zamboni, interpretato da Massimo Wertmueller, scrive lettere all’Ambasciata Italiana e al Ministero degli Esteri: chiede di poter proteggere gli ebrei italiani della città greca e di fornire loro certificati di cittadinanza provvisoria, per permettergli di raggiungere Atene e mettersi in salvo.

I suoi ricordi sono fantasmi che non sfumano i loro contorni, che rivivono nella sua memoria senza lasciare tregua al suo senso di giustizia.

 

Quella di Zamboni è solo una delle numerose storie di opposizione ai crimini contro l’umanità e di disperato tentativo di salvataggio degli ebrei durante la seconda Guerra Mondiale.

La vicenda, scoperta per caso dal giornalista Antonio Ferrari del “Corriere della Sera”, e portata alla luce grazie alla tenacia dell’ambasciatore Gianpaolo Cavarai, ha ispirato lo spettacolo teatrale Salonicco 43, al suo debutto italiano al Teatro Piccolo Arsenale di Venezia venerdì 22 novembre.

Il testo dello spettacolo si compone di documenti e lettere autentiche scritte da Guelfo Zamboni, raccolti  nel libro Ebrei di Salonicco 1943, scritto dallo stesso  Ferrari con Alessandra Coppola e Jannis Chrisafis.

Evelina Meghnagi e Carla Ferraro, foto di Fabio Bortot, Alvise Nicoletti/IED Ve

Evelina Meghnagi e Carla Ferraro, foto di Fabio Bortot, Alvise Nicoletti/IED Ve

 

Ecco, allora, che le voci narranti di Carla Ferraro e Massimo Wertmueller guidano gli spettatori nella multietnica Salonicco, immersa nelle sonorità e nei canti della cultura sefardita, interpretati da Evelina Meghnagi, sulle musiche di Arnaldo Vacca (percussioni) e Domenico Ascione (chitarra e liuto arabo), a carattere religioso e laico. I canti accompagnano il testo e si intrecciano ad esso, sottolineandone i momenti più significativi e drammatici: evocano il rapporto antichissimo del popolo ebraico con la musica, il suo desiderio di espressione nella preghiera e la ricchezza di una cultura che si è trasformata nell’attraversamento di terre diverse.

Le scelte registiche sono semplici e misurate. Ciriani ha scelto di lasciare spazio al testo, che per i suoi contenuti drammatici non ha avuto bisogno di essere “romanzato”. Le luci fredde che hanno illuminato la scena sottraendole colore lungo tutta la storia, diventano calde sul finale, restituiscono il rosso al costume di Carla Ferraro, mentre la sala si riempie dei suoni che accompagnano un canto di speranza. L’azione teatrale ancora una volta ha riportato in vita una storia e la speranza di tenere accesa la memoria di un popolo, a lungo privato del diritto di esistere.

 

I protagonisti dello spettacolo, foto di Fabio Bortot, Alvise Nicoletti/IED Ve

I protagonisti dello spettacolo, foto di Fabio Bortot, Alvise Nicoletti/IED Ve

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