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Pasolini a Venezia. Immagini dall’Archivio Storico delle Arti Contemporanee

27 novembre 2008 Commenti disabilitati

Di Chiara Augliera (ASAC)

La rassegna cinematografica dedicata a Pier Paolo Pasolini inserita all’interno di Mediterraneo. Laboratorio Internazionale del Teatro, costituisce una preziosa occasione per valorizzare e mostrare il materiale fotografico conservato presso L’Archivio Storico delle Arti Contemporanee.

La visualizzazione e la fruizione del materiale si offre quale testimonianza e assieme attivo contributo del lavoro di archiviazione e digitalizzazione svolto in Archivio dal 2004 sotto la direzione del prof. Giorgio Busetto, e rappresenta un’opportunità per diffondere la storia della Biennale attraverso le sue molteplici ed eterogenee fonti accumulatesi nel corso del tempo.

Si vogliono, così, riproporre alcune fotografie di scena e di set tratte dai film Mamma Roma del 1962 presentato alla 23. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica (1962) e da Il Vangelo secondo Matteo del 1964 che vinse il Premio speciale della Giuria durante la 25. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

1962 - Anna Magnani in Mamma Roma

1962 - Anna Magnani in Mamma Roma, foto di Divo Cavicchioli

1962 - Anna Magnani in Mamma Roma, foto di Divo Cavicchioli

1962 - Anna Magnani in Mamma Roma, foto di Divo Cavicchioli

1962 - Anna Magnani in Mamma Roma, foto di Divo Cavicchioli

1962 - Anna Magnani in Mamma Roma, foto di Divo Cavicchioli

Sono fotografie di forte valenza drammatica, nelle quali spicca il volto e la fisicità eccezionali della maschera tragica e irriverente di Anna Magnani.

Il fascino e il valore delle fotografie non deriva soltanto dalla loro capacità di documentare la preziosa storia di un film, ma è dato anche dalla portata creativa frutto dell’attività di numerosi fotografi, ognuno col suo stile e con il suo sguardo particolare.

Enrique Irazoqui (1° da sinistra) in Il Vangelo Secondo Matteo, foto di Angelo Novi

1964 - Enrique Irazoqui (1° da sinistra) in Il Vangelo Secondo Matteo, foto di Angelo Novi

1964 - Enrique Irazoqui in Il Vangelo Secondo Matteo, foto di Angelo Novi

1964 - Enrique Irazoqui in Il Vangelo Secondo Matteo, foto di Angelo Novi

1964 - La strage degli innocenti, scena da Il Vangelo Secondo Matteo

1964 - La strage degli innocenti, scena da Il Vangelo Secondo Matteo

Come ebbe a dire il suo biografo Enzo Siciliano: “Pasolini ha fatto cinema ‘di poeta’”.

Le immagini di Angelo Novi, il fotografo di scena de Il Vangelo secondo Matteo con il quale Pasolini strinse un lungo sodalizio creativo, riflettono in maniera drammatica ed evocativa l’intensa fisicità delle immagini filmiche pasoliniane: la sacralità proletaria della mater dolorosa Anna Magnani e la straziata pietà della Vergine Susanna Pasolini il cui ruolo sembra assumere il valore di un doloroso presagio.

1962 -Anna Magnani in Mamma Roma

1962 - Anna Magnani in Mamma Roma

1964 - Susanna Pasolini in Il Vangelo secondo Matteo, foto di Angelo Novi

1964 - Susanna Pasolini in Il Vangelo secondo Matteo, foto di Angelo Novi

Le fotografie risultano essere veri e propri documenti che rivelano lo stile e la personalità dei diversi fotografi che, applicando le loro regole e il loro punto di vista, compongono delle immagini che documentano, di volta in volta, l’itinerario del regista/poeta Pasolini.

1962 - Ettore Garofalo (4° da sinistra) in Mamma Roma

1962 - Ettore Garofalo (4° da sinistra) in Mamma Roma, foto di Divo Cavicchioli

1962 - Ettore Garofalo in Mamma Roma, foto di Divo Cavicchioli

1962 - Ettore Garofalo in Mamma Roma, foto di Divo Cavicchioli

1964 - Crocifissione, scena da Il Vangelo secondo Matteo, foto di Angelo Novi

1964 - Crocifissione, scena da Il Vangelo secondo Matteo, foto di Angelo Novi

1964 - Enrique Irazoqui, in Il Vangelo secondo Matteo

1964 - Enrique Irazoqui in Il Vangelo secondo Matteo

Pasolini Mediterraneo. A colloquio con Italo Moscati

22 novembre 2008 Commenti disabilitati

Intervista a cura di Chiara Augliera (ASAC)


L’immagine di Pier Paolo Pasolini cineasta e documentarista è quanto Italo Moscati presenta con una personale in occasione del Laboratorio Internazionale del Teatro dedicato al Mediterraneo.

Chiediamo al curatore di illustrarci il rapporto che l’artista aveva instaurato tra teatro e cinema.

Pier Paolo Pasolini, foto Bernardi Venezia

Pier Paolo Pasolini a Venezia nel '68 in occasione della XXIX Mostra Cinematografica, foto Bernardi Venezia (vai alla scheda ASACdati)

Pasolini amava tutte le forme creative. Dipingeva anche e frequentava la musica (scrivendo testi e conoscendo bene il melodramma). Gli piaceva scrivere per il teatro e andare in scena, ma il suo amore era scisso tra letteratura e cinema, e i suoi romanzi e i suoi film ne sono la più sincera testimonianza. Pasolini si definiva un pasticheur, ovvero un artista guidato dal desiderio, anzi dalla passione, di combinare le forme per inventarne delle nuove, sue personali: le sole che – sulla pagina o sugli schermi – rappresentano risultati di cui tenere conto, come dimostra il continuo interesse che suscita il suo lavoro. Naturalmente, i rapporti fra cinema e teatro, cinema e musica, cinema e letteratura – e viceversa – sono stati parte in questo lavoro come balza con chiarezza soprattutto nei film.

Pasolini era interessato a tutto, compresa la tv (i documentari), e ogni volta tentava di mettere alla prova se stesso di fronte alle forme artistiche. Le forme artistiche nel laboratorio pasoliniano non hanno mai ceduto alle forme della comunicazione, anche se si può considerare il poeta-regista-scrittore-documentarista un grande comunicatore. Voglio dire che nel laboratorio si verificava un intreccio, senza forzate armonizzazioni, tra le arti. Con la finalità di raccontare l’uomo, le persone, la realtà con puntiglio ma senza pretendere la parola definitiva. Teatro, cinema, documentari sono un lungo itinerario di illusioni e di disillusioni, soprattutto disillusioni. Pasolini non “montava” che la sua tensione e “smontava” le strade spicce per rivestire la realtà secondo vulgate ideologiche schematiche, prive di profondità.

In questo contesto, che ruolo assume il teatro nel Pasolini “intellettuale organico”?

Pier Paolo Pasolini (sesto da sinistra) a Venezia nel '68, Fotoattualità/Agenzia Venezia

Pier Paolo Pasolini (sesto da sinistra) nel '68 a Venezia, Fotoattualità/Agenzia Venezia (vai alla scheda ASACdati)

Intanto, non credo che Pasolini fosse un “intellettuale organico”. Era e votava comunista ma viveva e ragionava con la sua testa. Viveva a suo modo fino al punto di essere espulso dal partito per vicende giudiziarie, un partito che comunque non era tenero con gli omosessuali soprattutto se davano scandalo.

Ragionava con la sua testa prendendo posizione spesso in modo autonomo sui temi squisitamente politici o artistici e culturali. Era uomo di sinistra, una sinistra che non somigliava a nessun’altra.

Si considerava un uomo del passato e della tradizione (la forza rivoluzionaria del passato, diceva), ma si lanciava con convinzione nel tentare di armonizzare le forme, senza inseguire ad esempio nel teatro le tendenze della avanguardia, un’avanguardia che peraltro non lo amava. Pasolini rivendicava al teatro la forma e la forza della letteratura e della parola. L’avanguardia giocava sull’ immagine e sulla scrittura scenica. Pasolini lanciava un suo manifesto per sostenere un teatro di parola e di invenzione. Negli stessi anni la rivista Sipario pubblicava manifesto e ipotesi della neoavanguardia sulla scia del Living Theatre o di Carmelo Bene. Pasolini volle in un suo film proprio Carmelo Bene.

1968- Carmelo Bene con il premio speciale della Giuria per il film Nostra Signora dei Turchi, foto Bernardi Venezia

1968- Carmelo Bene con il premio speciale della Giuria per il film Nostra Signora dei Turchi, foto Bernardi Venezia

Capiva e sapeva intendere personaggi dell’avanguardia e imparava “anche” da loro ma poi sceglieva sulla pagina e sulla scena in modo personale e originale. Quindi nessuna “organicità” ma un atteggiamento coraggioso e anticonformista. Il che non significava che avesse sempre ragione o che i suoi testi e spettacoli teatrali fossero sempre riusciti.

Quale rapporto intercorre fra il tema del Mediterraneo e l’interesse documentaristico di Pasolini?

Come ho tentato di illustrare nella personale pasoliniana alla Casa del Cinema di Venezia, dedicata proprio al Mediterraneo e al cinema (finzione o documentario) di Pasolini, il poeta-regista-scrittore-documentarista aveva una doppia tensione.

Da una parte i film come “Edipo” o “Medea” sono la concreta rappresentazione di come Pasolini si sia nutrito della cultura classica mediterranea, e l’ha trasformata nel suo mare di ispirazione. Dall’altra i suoi documentari girati in Tunisia, Marocco, Yemen, nei suoi sopralluoghi filmati in Palestina, sono la faccia altrettanto concreta per Pasolini di misurarsi con i volti, gli ambienti, le idee dietro o impressi nei volti e negli ambienti. Ancora una volta, anche qui, i rapporti sono per Pasolini soprattutto, anzi esclusivamente improntati a una passione di ricerca sul campo. Il regista voleva sapere e si mobilitava con le ipotesi, mobilitava la macchina da presa, per esplorare. Agiva come agivano i grandi registi incapaci o insofferenti nel girare negli studi chiusi o i grandi documentaristi classici (Flaherty) che mettevano in scena gli spazi aperti, le persone raggiunte nei loro luoghi e costumi di vita. Lavorando senza sosta, Pasolini non navigava sulla superficie del Mediterraneo, lo rovesciava, e lo mostrava nel calore e nella polvere della storia. La storia di un mare che resta immenso, specie se si pensa che nella notte dei tempi arrivava fino al Caucaso.

1964 - Pier Paolo Pasolini ed Enrique Irazoqui durante le riprese del Vangelo Secondo Matteo, foto di Angelo Novi

1964 - Pier Paolo Pasolini ed Enrique Irazoqui durante le riprese del Vangelo Secondo Matteo, foto di Angelo Novi (vai alla scheda ASACdati)

Per concludere: ha qualche ricordo personale su Pasolini?

Ho conosciuto e frequentato Pasolini. Non molto, non come avrei voluto. Era una persona di carisma, sensibile, coltissimo e curioso. Avevamo amici in comune come Alberto Moravia, Dacia Maraini, Dario Bellezza, Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, e gli incontri erano appuntamenti di grande qualità ed esito, lasciavano tracce. Come incidevano le sue prese di posizione (la rivoluzione, la contestazione, il sesso, la religiosità, l’ideologia, la diversità…) e i suoi instancabili, densi, interventi sulla stampa. Un mucchio di carta. Un mucchio di idee e di stimoli. Un mucchio di desideri. A chi vuole saperne di più mi permetto di segnalare il mio libro pubblicato da Ediesse intitolato “Pasolini passione”. Lì c’è molto di quanto ho ricavato, abbiamo ricavato noi giovani a quei tempi. Nel ribollire,nel fuoco, nella appassionata e appassionante creatività aristica. Una sorta di romanzo di fatti e soprattutto dei molti drammi personali e non che hanno fatto e fanno di Pasolini un personaggio unico. Altri personaggi in quegli anni, e anche dopo, sono stati presenti, non sono mancati e sono stati al centro di attenzioni vere. Ma persino i detrattori, gli antipasoliniani (che magari hanno serie ragioni) riconoscono l’unicità di una storia e di un protagonista.

Pier Paolo Pasolini nel '68 a Venezia in occasione della XXIX Mostra Cinematografica,

Pier Paolo Pasolini nel '68 a Venezia in occasione della XXIX Mostra Cinematografica

Un mare di armonia

6 novembre 2008 Commenti disabilitati

Pier Paolo Pasolini e Ninetto Davoli, foto Bernardi Venezia/ASAC

Pier Paolo Pasolini e Ninetto Davoli, foto Bernardi Venezia/ASAC (vai alla scheda ASACdati)

Viaggiare vuol dire scoprire. Per parlare degli uomini bisogna ascoltare le loro storie personali e individuarne le contraddizioni. Non si arriva a girare un film senza avere sofferto. Pier Paolo Pasolini era, prima di essere un regista, un antropologo e un profondo conoscitore dell’animo umano. Navigava tra la gente più che attraverso i luoghi. E, poi, riusciva a ricomporre le diversità in un’unica opera, con lo sguardo di chi cerca il senso delle cose anche con la macchina da presa.

Nell’ambito di Pasolini mediterraneo, dopo la mostra dei costumi creati da Danilo Donati per molte delle sue opere, è iniziato il ciclo di film del poeta-regista. Cura questa rassegna lo scrittore Italo Moscati, che ha spiegato i motivi della scelta, durante l’incontro tenutosi nel pomeriggio del 4 novembre nella nuova Casa del Cinema di Venezia. “Pasolini cercava di trovare l’armonia dopo le scissioni”, ha affermato, “quando viaggiava non si limitava a visitare i posti, ma cercava di ricreare uno sguardo, un punto di vista. In questo senso, era mediterraneo, per il suo modo critico, quasi liquido, di vedere le cose. Il suo era un cinema che nasceva dagli studi dell’antropologo Claude Lévi-Strauss, era una ricerca continua. C’era in lui una specie di inquietudine, che lo muoveva verso diverse rotte, per poi accorgersi spesso di avere già ciò di cui aveva bisogno. Il poeta Pasolini arrivava alle sceneggiature per sedimentazione, non per intuizione, spinto dal bisogno di raccontare quello che aveva dentro”.
E, in effetti, il regista credeva nel potere della narrazione, sapeva che osservare la realtà equivale a gettare lo sguardo su se stessi. Osservare gli altri per capire i suoi comportamenti è quello che l’uomo si ritrova a fare nel mondo. La vita vera è conflitto e le storie al cinema nascono proprio da questo. L’arte ha il potere di mostrarci le contraddizioni, il buio ha la funzione di spogliarci di quello che eravamo prima e rinascere a una nuova esistenza. Alla fine di ogni storia, dovremmo riuscire a comprendere una nuova parte di noi stessi.

Pier Paolo Pasolini durante le riprese del 'Vangelo secondo Matteo', foto di Angelo Novi/ASAC (vai alla scheda ASACdati)

Pier Paolo Pasolini durante le riprese di 'Il Vangelo secondo Matteo', foto di Angelo Novi/ASAC (vai alla scheda ASACdati)

Pasolini raccontava gli uomini, filmava i cambiamenti per analizzarli e le diversità per rispettarle, consegnando al cinema la capacità di far vedere, di mostrare che ogni viaggio è diverso da un altro. “Il suo interesse – ha concluso Moscati – era più per i volti di quel mare, non per i paesaggi, ma per le culture che lo abitano”. Quando si spegne la luce, comincia l’emozione, si entra in una nuova vita e si diventa qualcun altro. Si è spenta la luce e abbiamo incontrato Edipo re, nel suo viaggio verso casa.
I lungometraggi e i documentari che testimoniano l’interesse del poeta-regista per i paesi del Mediterraneo saranno proiettati alla Casa del Cinema, fino al 27 novembre.

Desiderio di antichità

28 ottobre 2008 Commenti disabilitati

Ogni opera è il frutto di una collaborazione. Come quella tra Alfred Hitchcock e il suo musicista Bernard Herrmann. Immagine e musica, due elementi inscindibili. Così, per Pier Paolo Pasolini, i costumi sono parte essenziale di alcuni dei film da lui diretti. Narrazioni tragiche, che ricordano all’uomo la sua arcaicità.

A Palazzo Mocenigo, da oggi fino al 30 novembre, è ambientata la mostra dei costumi che Danilo Donati ha realizzato per alcuni film del regista, viaggiatore sulle rotte del Mediterraneo: non solo per i luoghi fisici descritti, ma anche per i temi trattati e per la sua ricerca sull’uomo. Un uomo prima della civiltà. Ha introdotto la mostra il direttore Maurizio Scaparro, che ha ricordato: “Certamente Pasolini era uno di quelli che non ha mai voltato le spalle all’Africa, ai vari Sud del mondo. Alle nostre origini, verso le quali dobbiamo continuamente guardare”.

Maurizio Scaparro e Paolo Baratta all'inaugurazione della mostra Pasolini Mediterraneo, foto di A.N./CUT

Maurizio Scaparro e Paolo Baratta all'inaugurazione della mostra Pasolini Mediterraneo, foto di A.N./ShylockCUT

Al piano terra del Palazzo, ecco i costumi creati per il film Il fiore delle mille e una notte, che Pasolini girò in Marocco e nello Yemen. Elmi di foggia spagnola e lance di metallo argentato. Tuniche e mantelli di lana e ciniglia tessuti a mano.

Poi, al piano superiore, altri luoghi e altre opere. Il Vangelo secondo Matteo, film del 1964, girato a Matera; Edipo Re, del 1967, in Marocco; Porcile, del 1969, con riprese tra l’Etna e Catania. Decameron, del 1971, ambientato in Marocco e nello Yemen.

L’esposizione, curata da Luigi Piccolo, della Sartoria Teatrale Farani, resterà aperta ogni giorno, escluso il lunedì, dalle 10.00 alle 16.00. Per riscoprire l’arte di una tessitura che parte dal classico per reinventarsi. E per ritrovarsi. Nei luoghi in cui tutti facciamo ritorno.

costumi, foto di A.N./CUT

costumi, foto di A.N./ShylockCUT

foto di A.N./CUT

foto di A.N./ShylockCUT

foto di A.N./CUT

foto di A.N./ShylockCUT