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Archive for 26 novembre 2008

Bagdad di aceto e di zucchero

26 novembre 2008 Commenti disabilitati

Vi chiedo scusa per essere stato poco costante nello scrivere delle mie avventure culinarie, ma un lungo viaggio mi ha portato lontano da Venezia. Ed è proprio di questo mio ultimo andar per mare che vi voglio parlare. Tutto è iniziato a Palermo, esattamente nella Cappella Palatina, un imponente e composito palazzo di origine araba del IX secolo. Mentre stavo guardando i mosaici bizantini raffiguranti persone arabe a tavola, mi si avvicinò una signora, che non avevo mai visto, che mi chiamò per nome, Corto Maltese. Non le chiesi perché mi conoscesse, la lasciai parlare e lei iniziò a raccontarmi dei pranzi conviviali che seguivano le partite a scacchi alla corte dei califfi a Bagdad. Nella città irachena i piaceri della tavola erano abbondantemente coltivati; le tradizioni alimentari di arabi, persiani e asiatici, oltre che di bizantini, confluivano e si mescolavano. Fu proprio durante una di queste partite a scacchi che Ibn Sayyār al-Warrāq, colui che scrisse nella seconda metà del x secolo il più antico libro di cucina araba, il Kitāb al-tabīkh, fece rivelare al cuoco del sultano la prima regola della buona cucina: “il segreto del successo sta nella casseruola ben lavata”.
La strana signora, tutta presa dai suoi racconti, non faceva altro che rammaricarsi di non aver potuto vivere in Iraq quando era un centro culturale di prima importanza per il mondo mussulmano, che accoglieva i grandi maestri dei movimenti filosofici e sufi, i teologi, i sapienti di ogni disciplina, i poeti, dai mistici ai cantori dei piaceri della vita. È in quel contesto culturale dinamico che vanno collocati quegli uomini che si riunivano per giocare a scacchi e che rappresentavano una certa classe sociale urbana, colta e raffinata, che si dedicava all’arte della convivialità, della conversazione letteraria e filosofica; una classe agiata che si permetteva il lusso di avere ogni giorno sulla tavola uno dei piatti più pregiati e più cari dell’epoca, il sikbāj. Attratto da tutti questi racconti mi diressi immediatamente a Bagdad, trovandola molto differente da come me l’aveva descritta la signora. Oggi è trasformata in un campo di battaglia, dove non si gioca più a scacchi ma alla guerra. Per fortuna sono riuscito a trovare luoghi dove le antiche tradizioni sono ancora ben radicate, dove prima di cucinare il sikbāj la casseruola viene ben lavata. Questo piatto, il cui nome deriva dal persiano e significa piatto all’aceto, come disse secoli fa il famoso cuoco “è fatto con carne, aceto, zucchero, verdura, melanzane, zucca, zafferano e tutto il necessario”. La parola sikbāj si diffuse in varie forme e si conserva fino ai giorni nostri come escabeche in castigliano e escabeig in catalano. Inoltre è presente in molti dialetti italiani della costa tirrenica come scabeccio in genovese, scapece in napoletano e schibbeci e scabbici in siciliano. L’agrodolce, sapore e odore forte che invadeva le cucine di Bagdad e non solo, era alla base della cucina araba e oggi il Maghreb, più del Medio Oriente, è rimasto fedele a questo stile gastronomico.

Categorie:La cambusa

Una storia scoperta per caso: Salonicco ’43

26 novembre 2008 Commenti disabilitati

Il tappeto al centro del palcoscenico segna il perimetro dello spazio, in cui prendono vita le storie dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti: ha un colore sbiadito, come gli abiti di scena, ulteriormente scoloriti dall’uso di luci fredde. 

È la storia di una città, Salonicco, diventata scenario della ferocia nazista nel 1943. Cinta dal filo spinato e privata dei suoi abitanti, gli ebrei sefarditi.

Nello spettacolo, diretto da Ferdinando Ceriani, la voce di Carla Ferraro riporta la testimonianza di coloro che sono scampati alla deportazione e dà un volto alle loro paure e alle loro speranze. 

Seduto dietro la sua scrivania, il Console Generale d’Italia Guelfo Zamboni, interpretato da Massimo Wertmueller, scrive lettere all’Ambasciata Italiana e al Ministero degli Esteri: chiede di poter proteggere gli ebrei italiani della città greca e di fornire loro certificati di cittadinanza provvisoria, per permettergli di raggiungere Atene e mettersi in salvo.

I suoi ricordi sono fantasmi che non sfumano i loro contorni, che rivivono nella sua memoria senza lasciare tregua al suo senso di giustizia.

 

Quella di Zamboni è solo una delle numerose storie di opposizione ai crimini contro l’umanità e di disperato tentativo di salvataggio degli ebrei durante la seconda Guerra Mondiale.

La vicenda, scoperta per caso dal giornalista Antonio Ferrari del “Corriere della Sera”, e portata alla luce grazie alla tenacia dell’ambasciatore Gianpaolo Cavarai, ha ispirato lo spettacolo teatrale Salonicco 43, al suo debutto italiano al Teatro Piccolo Arsenale di Venezia venerdì 22 novembre.

Il testo dello spettacolo si compone di documenti e lettere autentiche scritte da Guelfo Zamboni, raccolti  nel libro Ebrei di Salonicco 1943, scritto dallo stesso  Ferrari con Alessandra Coppola e Jannis Chrisafis.

Evelina Meghnagi e Carla Ferraro, foto di Fabio Bortot, Alvise Nicoletti/IED Ve

Evelina Meghnagi e Carla Ferraro, foto di Fabio Bortot, Alvise Nicoletti/IED Ve

 

Ecco, allora, che le voci narranti di Carla Ferraro e Massimo Wertmueller guidano gli spettatori nella multietnica Salonicco, immersa nelle sonorità e nei canti della cultura sefardita, interpretati da Evelina Meghnagi, sulle musiche di Arnaldo Vacca (percussioni) e Domenico Ascione (chitarra e liuto arabo), a carattere religioso e laico. I canti accompagnano il testo e si intrecciano ad esso, sottolineandone i momenti più significativi e drammatici: evocano il rapporto antichissimo del popolo ebraico con la musica, il suo desiderio di espressione nella preghiera e la ricchezza di una cultura che si è trasformata nell’attraversamento di terre diverse.

Le scelte registiche sono semplici e misurate. Ciriani ha scelto di lasciare spazio al testo, che per i suoi contenuti drammatici non ha avuto bisogno di essere “romanzato”. Le luci fredde che hanno illuminato la scena sottraendole colore lungo tutta la storia, diventano calde sul finale, restituiscono il rosso al costume di Carla Ferraro, mentre la sala si riempie dei suoni che accompagnano un canto di speranza. L’azione teatrale ancora una volta ha riportato in vita una storia e la speranza di tenere accesa la memoria di un popolo, a lungo privato del diritto di esistere.

 

I protagonisti dello spettacolo, foto di Fabio Bortot, Alvise Nicoletti/IED Ve

I protagonisti dello spettacolo, foto di Fabio Bortot, Alvise Nicoletti/IED Ve

Categorie:Spettacoli

Scatti di Giorgia Nason

26 novembre 2008 Commenti disabilitati

Cinque idee, cinque testi, cinque registi, cinque diversi modi di lavorare. Partecipare a Mediterraneo intravedendo progetti e persone sempre nuove mi ha portato a scattare centinaia di fotografie, entrando per un breve momento nel gruppo e nello stesso tempo standone fuori, a osservarlo. Uniche e simili insieme, queste persone hanno costruito qualcosa che va aldilà della semplice presentazione finale. Nel mio percorso mi sono concentrata molto sui volti, sulle espressioni degli attori e dei registi, sulla loro singolarità e sulle dinamiche del loro rapporto, più che sulle azioni meramente teatrali, cercando di restituire quest’esperienza personale.

Giorgia Nason

Categorie:Ritratti

Scatti di Irene Guerra

26 novembre 2008 Commenti disabilitati

Mi chiamo Irene Guerra e partecipo al laboratorio di fotografia di scena curato da Arianna Novaga.

Grazie all’associazione teatrale Shylock-CUT di cui faccio parte, avevo già avuto modo di entrare in contatto con il mondo del teatro e della fotografia di scena.

Quest’ultima è stata un’occasione preziosa per seguire le fasi laboratoriali che precedono un allestimento, condividere passo per passo l’evoluzione professionale ed umana degli attori. Con la fotografia ho cercato di cogliere questi momenti  intimi di lavoro e trasmettere le sensazioni provate sul palcoscenico.

Categorie:Ritratti